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Storia di Testaccio

Il Monte dei Cocci

Le origini di Testaccio in epoca romana

sabato 15 dicembre 2007, di Irene Ranaldi


In epoca romana, più internamente a quella che allora era la piana del Testaccio, vennero costruiti gli Horrea Galbana dal nome del Console Galba.
I magazzini si articolavano intorno a tre grandi cortili e vi si accedeva attraverso delle porte, una porzione delle quali è ancora visibile tra le attuali via G. Branca, via Rubattino e via B. Franklin.
Si tratta del Porticus Aemilia, lungo 487 metri e largo 60; era utilizzato come deposito delle derrate che venivano scaricate nell’Emporium e funzionava da mercato all’ingrosso.
Oggi è una delle tante epifanie romane che compaiono qua e la nella più totale indifferenza del resto della città e anche di molti testaccini, che non ne conoscono l’importante funzione sociale e commerciale che ricopriva; proviamo a immaginare i traffici, i mercanti che qui si davano appuntamento, le merci più svariate che arrivavano dal Mediterraneo.
Vederne oggi solo alcuni resti incastonati tra i palazzi, senza nemmeno una targa, fa decisamente irritare.
E’ interessante notare come a quasi quindici secoli di distanza la sistemazione edilizia del rione Testaccio, come era stata progettata nella Forma Urbis - una delle piante marmoree più importanti di Roma antica fatta incidere tra il 203 e il 211 dal prefetto L. Fabio Cilone - sia stata quasi pedissequamente riproposta nei tracciati dei piani regolatori del 1873 e del 1883, che hanno dato il via all’edificazione del moderno rione.
La Piana del Testaccio era di notevole importanza economica per la città di Roma, a causa dei traffici che si svolgevano in prossimità del fiume Tevere.
Il Monte dei Cocci ne è una testimonianza: con una altezza di 30 m. una circonferenza di 1 km. e una superficie complessiva di 20.000 mq il monte artificiale, che per la sua particolarità è unico al mondo, si è formato grazie all’accumularsi degli strati dei cocci delle anfore provenienti dall’Emporium e dagli Horrea che una volta svuotate del loro contenuto, venivano trasportate lungo quella che oggi è via Marmorata e gettate in una piana deserta sulla quale strato dopo strato è cresciuto il Monte, detto appunto dei Cocci.
Attraverso sondaggi archeologici effettuati dall’archeologo Enrico Dressel a partire dal 1881 e soprattutto dagli studi dell’archeologo Rodriguez Almeida in epoca recente, è stato possibile attribuire una data a quelle anfore che riportano dei sigilli con date impresse comprese tra il 144 e il 251 d.C.
E’ presumibile che quasi tutte le anfore, risalgano a questa data anche se la base del Monte si presenta come un cono rovesciato e in profondità potrebbero nascondersi delle anfore più antiche.
Il rione, come tutti i testaccini sanno, deve anche il suo nome, al monte dei Cocci: la parola latina che designa i frammenti delle anfore o di altri materiali di argilla, è testae da cui il nome Testaccio.
Fin dal mondo antico, la particolarità del monte Testaccio ha affascinato molti scrittori ed intellettuali.
Miguel de Cervantes autore del Don Chiscotte, nel romanzo El Licenciado Vidriera al protagonista importunato da monelli di strada fa dire : “Cosa volete da me , mosche ossessive , sporche cimici , audaci pulci ? Sono io , forse, il monte Testaccio di Roma che mi gettate addosso dei cocci ? “
Nell’11 a.C. venne poi costruito il monumento funebre a Caio Cestio, la piramide Cestia che oggi appartiene, a causa di divisioni toponomastiche, al quartiere Ostiense.
L’ultimo intervento del periodo romano realizzato a Testaccio, fu la costruzione della cinta muraria ad opera dell’imperatore Aureliano nel 271 d.C.
Fra le mura si apriva la Porta Ostiensis, che poi lo stato Pontificio chiamerà Porta San Paolo; essa costituiva un inoltro per le merci approdate nella città di Ostia.
La piana del Testaccio si trovava così geograficamente chiusa da tutti i suoi lati e così rimase per molti secoli: la circondavano il fiume Tevere, il colle Aventino, le Mura Aureliane.
(segue)

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