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Testaccio: le ritrovate origini

di Carla Costanzi

venerdì 11 gennaio 2008, di Carla Costanzi


Per l’urbanistica Testaccio individua il XX^ rione di Roma, per la storia è quel lembo della città eterna profumato di garum e olio d’oliva, pregiate merci racchiuse in migliaia di anfore di terracotta che arrivate sui lembi del Tevere all’altezza del porto di Ripa Grande e scaricate nell’Emporium venivano dopo lo svuotamento frantumate in cocci. E i cocci…?
So’ ancora… cocci, ammucchiati e stratificati dall’epoca imperiale, con incise le iscrizioni delle terre di provenienza, fanno er monte de li cocci,un’altura che come un vecchio Gòlgota assonnato e indifferente, indica il cielo con la croce piantata in terra e osserva da lassù i discendenti della gens romana,di quella quasi scomparsa a Roma, inghiottita da idiomi e razze che seppure la rallegrano hanno contribuito a nascondere i romani de Roma, quelli di oltre sette generazioni.
Testaccio come una Montmartre romana, è lo scrigno che racchiude un core generoso e fumantino che vibra attraverso le grida dei bambini a lungotevere o dentro i cortili delle case popolari,dove giocano a pallone sognando di correre un giorno sul campo della magica Roma.
Testaccio è il camposanto detto degli inglesi; è la Piramide di Caio Cestio, tribuno della plebe nel 1^ secolo d.C., cerimoniere, provveditore e quindi, secondo il principio che chi amministra…amminestra… carico di quattrini al punto da poter far elevare un monumento per la sua sepoltura.
E’ un tempio della letteratura italiana che a lui si è ispirata: da Pasolini a Elsa Morante.
E’ il tempio der magna’ verace, tutto sregolatezza, dove gli antichi sapori nascono dal quinto quarto ovvero dalle interiora delle bestie.Dall’ammazzatora, come veniva chiamato l’antico macello, i bovari e li scortichini uscivano di notte sul piazzale antistante e per ritemprarsi dalla fatica e dal freddo mangiavano nei fumanti padellotti intingoli misti, in cui gli scarti erano la corte della nobile coda a’ la vaccinara, de la vitella a’ la fornara, der fritto de carciofoli e animelle, regine incontrastate sulle tavole imbandite.
Qui la domenica quando dopo la Messa passeggi p’ anna’ da Righetto a compra’ er giornale e da Linari pe’ le pastarelle e le ciambelle fritte, nelle strade si versa il soave profumo del sugo d’invortini e stufatino che andrà a colorire i rigatoni del pranzo domenicale e i vapori sublimi dell’abbacchio ar forno co’ le patate che salgono per le narici trascinandosi dietro l’aroma del rosmarino, immancabile erba di questa superba pietanza.
E’ il ricordo delle scampagnate a’ li prati der popolo romano: una nuova tradizione venutasi a creare nell’ottocento all’insegna della gioia di vivere e dello stare insieme per brindare e cantare stornelli a dispetto.
Le popolane, chiamate da Belli le belle paciocche, salivano su carrette infiocchettate e si agghindavano di ori e coralli, agli orecchi le scioccaje,ambita dote delle ragazze da marito, in testa cappelli di paglia con infilate spighe di grano o in autunno pampini e tralci d’uva.
Testaccio è la storia della Roma di ieri, di una Roma sparita, di gente nobile e ricca che si integrava con i modesti artigiani e lavoratori del macello per vivere momenti di gioiosa quiete; nonostante la città abbia cambiato volto e stravolto usanze e abitudini questo quartiere è legato fortemente alla sua memoria ancora viva.
Questa Testaccio è per i romani, per gli intellettuali e gli artisti che pagherebbero cifre folli pur di abitare in questo quartiere;la mia Testaccio è qualcos’altro ancora, qualcosa di irripetibile e solo mio.
Sono le mie radici originarie, il fazzoletto di terra dove è cresciuto mio padre, dove è ancora la casa di nonna Maria e dove sono vissuta anch’io fino a quattordici anni e dopo i trenta.
Avevo avuto il divieto da parte di mia madre di rivelare a chiunque di abitare in quel quartiere; ero bambina e non ne capivo le ragioni, ma mi ero imposta di rispondere a questo tipo di richiesta: - vivo…vicino all’Aventino -.
Mi rivedo con una piccola frangia di capelli castano chiari sulla fronte e riascolto la voce di una bambina che si esprime in corretto italiano perché le è stato proibito di parlare con cadenza romanesca.
Tutta la prima fase della mia permanenza a Testaccio è stata segnata da un incomprensibile senso di vergogna e di non appartenenza al proprio luogo di origine. Era un abito che mi stava troppo stretto, non mi sentivo rispettata. _ Una limitazione che mi ha privato di integrarmi con i compagni del palazzo, di frequentare ai giardinetti bambini allegri e vivaci come me.
Da oltre venticinque anni però ho ritrovato sto’ pezzo de core dimenticato ma mai tradito;la casa che abito a lungotevere Testaccio, al 30, rappresenta l’indipendenza e la libertà conquistata a fatica. Qui sono ritornata sola con mia figlia, avvilita e stanca di lottare, qui il sole che scalda queste mura al quarto piano affacciato sul Tevere ha riscaldato e intenerito la mia anima, donandole quella luminosità che non aveva mai conosciuto prima. D’allora ho conosciuto la fierezza d’esse testaccina!
Sono ritornati tutti in fila i ricordi dell’infanzia, dei modi di sentire, delle regole accettate, allora indiscusse, fino allora relegati in un’incredibile lontananza.
Qui ho risentito il profumo della giovinezza simile a quello dei larghi ippocastani dai fiori rosa o bianchi di piazza Santa Maria Liberatrice che continuano a fiorire in ogni primavera.
Qui poche cose ho trovato cambiate: il vivere, l’affabilità degli incontri, la disponibilità al sorriso e alla battuta mordace sono rimasti intatti perchè rappresentano l’essenza di questa gente.
Ho raccontato la storia della mia infanzia a Testaccio a mia figlia Valeria e lei lo ama quasi più di me.
Testaccio è er core de Roma, è la sua anima antica baciata dal Tevere; perché pensare Roma senza Tevere e il Tevere senza Roma non sarà mai possibile.Sono due amanti legati da un amore eterno che fa di uno il completamento dell’altro.
Il Tevere è l’abbraccio che stringe in una linea flessuosa il corpo di questa città carnosa e barocca che gli si offre dall’eternità in tutta la sua opulenza, e lei – Roma – ama donargli la sua multiforme immagine riflessa nello specchio liquido.
Questi luoghi e questo fiume nella mia vita hanno rappresentato sempre un magico richiamo, quasi un canto delle sirene, incantatore…
Il palazzo che abitiamo da tantissimi anni è una casa più grande che ci accoglie, dove ci sentiamo più protetti e legati da un sentimento comune che è quello proprio di essere tutti testaccini.
Ogni interno racchiude un mondo familiare non del tutto estraneo; le vite dei condomini, tutte unite insieme fanno vivere questo palazzo nei suoi umori e nei suoi caratteri personali.
All’interno cinque c’è Ombretta e Sergio;Ombretta è il punto di riferimento per tutti, chi vive dentro e chi arriva da fuori; maremmana d’importazione, generosa e spesso co’ la luna de traverso, ma disponibile a passarti lo spicchio d’aglio che ti serve pe’ ripassa’ la cicoria ‘n padella.
Sopra la sora Assunta cor’ sor’ Agusto, una coppia di ottantenni sempre allegri tra acciacchi d’ossa e ravioli fritti de ricotta dispensati agli altri appartamenti del palazzo.
E tanti altri ancora…
Ho allacciato nuove amicizie e nuove relazioni.
Con gli ottici di via Branca che adornano le vetrine con giocattoli e oggetti d’epoca, o con Pino,fornaio tutto pizze e dolci, seduto dietro la cassa pronto sempre a rispondere sorridente alle chiacchiere delle signore del quartiere che si intrattengono con lui per lamentare guai o per comunicare nascite e matrimoni, o con Massimo e Luciano i due fratelli del Pizzettiere, dove ti fermi anche se non hai fame perché lì se aspetti pochi minuti incontri sicuramente chi cerchi in giro nel quartiere senza trovarlo.
O alla tintoria della sora Nadia, quasi androne di un palazzo immaginario, quello di tutto il quartiere dove durante il giorno se devi lasciare soprabiti o coperte, ne approfitti per fermarti a ricordare storie e leggende di chi abitava il quartiere nel passato e ha lasciato traccia della vita di quel tempo in qualche colorita raccolta di poesie.
Testaccio: luogo che alimenta il mio ottimismo e nutre la mia anima perché non è un luogo solo fisico per chi è romano e per chi lo abita.
E’ la ritualità rivelata dalle radici più autentiche della romanità; a Testaccio, anche se vieni dall’Uganda, ti senti a casa tua, sembra che tutti riconoscano il tuo umore da come rispondi al loro saluto, perché a Testaccio tutti ti salutano e ti fermano per strada. Il rapporto umano non è utopia, è calore che circola dai negozi ai giardinetti dove gli uomini ricordano gli anni gloriosi di una Roma mitica e le donne si scambiano le ricette de la carbonara a modo mio.
Testaccio è ormai per me un’amica che ti abbraccia nei cortili delle case popolari o su le terrazze dove sventolano i panni stesi baciati dal ponentino: insomma Testaccio è Roma e amore, è poesia e schiettezza, è calore per molti, ma sicuramente per me che mi sono lasciata andare al suo abbraccio materno è giorno dopo giorno ritrovarmi nel tempo che passa ma non cancella.

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