Presentato a Roma il 24 marzo scorso il "Rapporto mondiale sui salari" dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Per l’Italia il risultato peggiore dei paesi del G20: salari inferiori di 8,7 punti rispetto al 2008 (anno della crisi economico-finanziaria), lavoratori stranieri che guadagnano circa il 26% in meno dei lavoratori italiani, aumento dei salari reali del 2,3% che non fa recuperare quanto eroso negli ultimi anni in potere d’acquisto.
In questo quadro salta all’occhio il “lieve” divario retributivo tra donne e uomini, uno dei più bassi tra i paesi UE: nel nostro paese dove i salari ristagnano da troppo tempo, si guadagna tutti poco, anche se sono le donne le meno pagate.
Paghiamo l’incapacità di investire i fondi del PNRR, da destinare entro giugno 2026, e i fondi per la coesione territoriale che la Commissione vorrebbe destinare al riarmo. Al contrario della economia spagnola in crescita negli ultimi anni, celebrata anche dall’Economist, il nostro sistema economico si assesta sulla precarizzazione del lavoro e sui salari bassi che generano sfruttamento in quasi tutti i settori produttivi e spianano la strada all’aumento degli infortuni sul lavoro, dai più lievi e quelli mortali.
La maggioranza celebra l’aumento del salario reale del 2,3% ignorando l’elefante nella stanza. Quello che serve davvero è una legge nazionale sul salario minimo, il puntuale rinnovo dei contratti collettivi, una efficace contrattazione di secondo livello, incoraggiare la sperimentazione della "settimana corta” (si lavora troppe ore per un tasso di produttività basso), saper spendere i fondi pubblici e indicizzare (davvero) i salari all’inflazione.