Chi parla dei referendum, spesso, non solo non sa di cosa parla, ma non sa neanche cosa sono diventate le sezioni lavoro dei tribunali italiani.
Quando ho cominciato questa professione, pur davanti alle prime avvisaglie della reazione neoliberista anche nel campo del lavoro, esisteva evidentemente un "favor" per i lavoratori che si fondava sulla necessità di tutelare la parte "debole" del rapporto.
Quello che un collega, davanti alle mie perplessità da novizio davanti ad un fatto disciplinare commesso da un lavoratore, risolse, con grande nonchalance, con questa frase: "che ti frega cosa ha fatto il lavoratore. Nella dinamica dei rapporti di forza, lui è sempre la parte debole. Va difeso a prescindere".
Era questo lo spirito che animava gran parte degli operatori del diritto in materia giuslavoristica. Anche negli avvocati datoriali. Gran parte dei giudici, anche di orientamenti culturali moderati, era imbevuto di questa cultura giuridica.
C’era un presidente della corte di appello di Roma, terrore di tutte le cancelliere e degli avvocati, perché lavorava sempre, il 24 dicembre, il venerdì, e non finiva mai le sue udienze prima delle 20,00, ma aveva un pregio: accoglieva tutti i ricorsi dei lavoratori. Tutti!
Mediamente ogni giudice aveva un centinaio di cause al giorno, di ogni tipo, che comunque riusciva a gestire con una notevole capacità. Oggi, a stento, ogni giudice ha 4 o 5 cause ad udienza.
Le riforme degli ultimi anni hanno avuto un solo obiettivo: distruggere il processo del lavoro, equiparandolo al diritto commerciale, stroncare ogni possibilità dei lavoratori di rivendicare diritti, in relazione al rapporto di lavoro, tramite il sistematico smantellamento dell’art. 18, la liberazzazione del contatto a termine e di quello di somministrazione, l’intervento periodico e asistemico, con norme che vengono aggiunte senza coordinamento con il quadro preesistente, rendendo l’interpretazione dei testi impossibile.
Ma non solo. Norme dragoniane hanno aggiunto cose sino a qualche anno fa inimmaginabili. Dalla condanna alle spese di lite per il lavoratore che perde la causa a l’obbligo di pagare, al di sopra di alcune somme, per iscrivere un ricorso.
La cosa più umiliante, però, è stato vedere che gli interventi del legislatore nel corso degli anni non sono solo intervenuti sulle norme, per modificarle, ma anche sulle interpretazioni che di queste norme davano i giudici. Mentre gli avvocati dei lavoatori si difendevano in udienza, gli avvocati datoriali riscrivevano le leggi per i loro padroni. C’è chi dice che l’articolo 18 sia desueto ormai. Chi lo dice non rappresenta un’opinione scientifica ma un ricostruzione ideologica. Non esiste alcuno studio scientifico che dimostri un collegamento fra la facilità di licenziare e l’aumento dell’occupazione.
In gioco, con i referendum, non c’è il vecchio mondo contro il nuovo mondo ma la dignità del mondo del lavoro.
Ricordo ancora, da bambino, che una notte mio padre rincasò prima dal lavoro. Ci svegliammo tutti, sorpresi, chiedendoci cosa fosse successo. Il caporeparto aveva scazzato con un lavoratore ed aveva chiamato un poliziotto in servizio presso Roma ferrovie. Il poliziotto, intervenuto, aveva ammanettato il collega di mio padre. In un luogo di lavoro pubblico, permeato dalla cultura democristiana, dalla minaccia labile che alzare la testa avrebbe pregiudicato quegli spicci che lo stato ti dà consentendoti di fare come cazzo ti pare fuori dal lavoro, la reazione dei colleghi fu corale. Scioperarono tutti immediatamente, pretesero la liberazione del collega, e abbandonaro, tutti, il posto di lavoro. Posto di lavoro che era lo smistamento dei valori di tutto il paese alla Banca d’Italia. Oggi sarebbero stati tutti licenziati!
In ballo, con i referendum, c’è un bene immateriale che chi c’ha il culo parato non può capire: la dignità del lavoro e dei lavoratori. Se non vi è mai capitato di conoscere lavoratori picchiati, umiliati, licenziati il giorno del funerale del figlio, stalkerizzati, irrisi, minacciati, non pagati, costretti a restituire parte degli stipendi che hanno percepito, 60 costretti a pisciarsi sotto perché l’algoritmo non li fai mai firmare, padri di famiglia che piangono disperati, lavoratrici trans insultare sul luogo di lavoro, probabilmente non potete capire. E ora di tornare ad alzare la testa.