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Tutta colpa di Giuda

Dal regista di "Dopo mezzanotte" Davide Ferrario una "commedia con musica" per evadere dalla tirannia dei luoghi, delle gabbie sociali, della religione.

giovedì 16 aprile 2009, di Sandra Avincola


Kasia Smutniak
Irena Mirkovic (Kasia Smutniak), giovane regista d’avanguardia, riceve dal cappellano della casa circondariale di Torino l’incarico di mettere in scena uno spettacolo teatrale in cui coinvolgere i detenuti della sesta sezione, un’unità in cui si scontano pene lievi per reati di meno grave entità (anche se, tra rapinatori di banca e spacciatori di droga, si trova qualche omicida condannato all’ergastolo). Secondo le intenzioni del sacerdote, in vista delle prossime festività pasquali lo spettacolo dovrà rappresentare la Passione di Cristo.
Irena si getta a capofitto nel progetto, cercando a tal fine di puntellare le sue vaghe reminiscenze religiose con un’opportuna rilettura dei Vangeli.
L’approccio con i “ragazzi” è meno traumatico del previsto, anche perché i detenuti vedono nell’allestimento dello spettacolo un diversivo all’inazione della loro vita carceraria. Il direttore del penitenziario, Libero Tarsitano (Fabio Troiano), dopo qualche perplessità iniziale concede alla giovane donna una relativa libertà d’azione: questa disponibilità umana, coincidente con un periodo di crisi sentimentale della ragazza, porterà Irena ad un progressivo avvicinamento affettivo nei confronti di Libero, il quale arriverà a concederle l’uso di una stanza all’interno del carcere per soggiornarvi durante le prove dello spettacolo. Il primo ostacolo da superare è la netta opposizione dei detenuti a recitare nel ruolo di Giuda: nessuno di loro vuole accollarsi la parte del traditore, dell’infame per antonomasia.
Irena allora ha un’idea folgorante: si metterà in scena una Passione di Cristo senza Giuda e quindi senza denunce, senza tribunali, una passione da cui sia bandita la sofferenza e che si configuri come un inno alla libertà … Dato il contesto, l’idea trova l’appoggio entusiastico dei detenuti – attori, ma non quella di un sempre più preoccupato cappellano e di una suora di fin troppo rigida visione confessionale (Luciana Littizzetto). Finché, a mettere una seria ipoteca sulle effettive possibilità di rappresentare lo spettacolo, viene concesso un indulto …

La forza di questo film risiede, più che nella trama (perigliosa come tutti i film d’ambientazione penitenziaria, sempre oscillanti tra i due poli contrapposti del pietismo e della ferocia), nell’adattamento sotto forma di “musical”, un espediente che alleggerisce l’orizzonte claustrofobico e rende ariosa persino l’area plumbea del cortile carcerario. Anzi, la cifra d’identificazione del film è proprio in una surreale ironia dovuta all’incidenza delle battute messe in bocca ai vari personaggi, con cui si dissacra e smitizza la seriosità dell’argomento. Gli attori – detenuti (che interpretano, quindi, nient’altro che se stessi) liberano nell’azione scenica la loro energia vitale, cantando e ballando con forza a volte trascinante.
I mutamenti che la straordinaria esperienza in corso determinano nell’animo della ragazza, così come l’umanità “offesa” del direttore del carcere e quella sfaccettata dei vari detenuti, sono colti e rappresentati con grande finezza. Irena diventa, per questi uomini che tappezzano le pareti della loro cella con provocanti immagini di donne nude, l’unico referente di una femminilità che sarà loro a lungo ancora preclusa: come tale, la giovane donna deve appartenere a tutti ma a nessuno in particolare, e quando uno di loro viola con un innocente approccio questa regola aurea e tacitamente accettata da ciascuno, verrà pestato a sangue.
In egual modo, essi si rifiuteranno di continuare le prove dello spettacolo quando verranno a conoscenza della “liaison” fra Irena e Libero Tarsitano, mettendo la ragazza di fronte alla necessità di una difficile scelta.
Il regista Davide Ferrario ci regala un film insolito, asprigno ma pervaso da improvvise venature di dolcezza. Kasia Smutniak offre al suo personaggio i tratti di una freschezza giovanilista quanto mai credibile; “in parte” anche gli altri, da Fabio Troiano, che condisce di napoletana saggezza le sue battute sulla malignità del fato, ai detenuti che rivelano insospettabili doti di show – men.


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