Era da un bel po’ che non si vedeva, di primo mattino, un teatro così stracolmo da dovere impedire alle persone di entrare, per evidenti ragioni di sicurezza, e per costringere la polizia a bloccare le strade d’accesso in modo da creare uno spazio affinchè chi non era riuscito a prendere posto all’interno almeno potesse sentire dall’esterno. Tutto questo è successo oggi al teatro Quirino nel centro di Roma, per una manifestazione indetta dalle associazioni dei produttori di energia da fonti rinnovabili (Anev, Assosolare, Assoenergie Future, Aper, Gifi, Ises Italia).
Se il ministro Romani un risultato lo ha ottenuto è stato certamente quello di riuscire nella non facile impresa di unire produttori, lavoratori, ambientalisti e consumatori in un unico compatto fronte che in sostanza chiede una revisione così radicale del decreto recentemente emanato dal governo sulla drastica limitazione degli incentivi alla produzione di energia da fonti rinnovabili da coincidere di fatto con una richiesta di ritiro.
La discussione è stata vivace e non priva di qualche asperità, come si conviene ad un’assemblea vera. Non sono mancate le presenze politiche, in particolare SeL e Pd, quest’ultimo nella persona del segretario generale Bersani che come si ricorderà era stato il Ministro dello sviluppo economico che aveva dato vita al piano industriale per la produzione di pannelli solari cui si deve grande parte del tardivo ma intenso sviluppo della produzione in questo settore nel nostro paese. Ma i rappresentanti della politica per una volta si sono limitati ad ascoltare.
Nei discorsi dei rappresentanti delle associazioni produttrici e del mondo ambientalista le accuse al governo sono state chiare. Chi ha ricordato che il taglio agli incentivi serve alle lobby del nucleare per sostenere la presunta indispensabilità di quest’ultimo alla vigilia del referendum popolare che si terrà a giugno. Chi ha sottolineato con forza che si vuole mettere in ginocchio un settore che ha marcate caratteristiche antimonopoliste, come quello dei piccoli produttori di energia da fonti rinnovabili molto diffusi sul territorio. Chi non ha dimenticato di dire che l’indipendenza energetica del nostro paese – quanto mai urgente data la nota situazione internazionale – può essere perseguita solo grazie allo sviluppo della filiera italiana di produzione di energia da fonti rinnovabili. Chi ha ricordato tutte queste cose insieme, condite con la esplicita richiesta delle dimissioni del ministro Romani.
Non sono mancati momenti di vivacità. In particolare nel confronto fra i gruppi di lavoratori, molti dei quali sono potuti entrare nel teatro solo verso la fine della mattinata, e i rappresentanti delle associazioni a cui è stato rimproverato un atteggiamento troppo morbido. Le delegazioni operaie avrebbero preferito recarsi sotto le finestre di palazzo Chigi. Vi sono stati anche spunti polemici verso un ambientalismo eccessivamente rigido che sarebbe talmente preoccupato della difesa del paesaggio e dell’ambiente da non tollerare la messa in opera di pale eoliche o pannelli solari. Spunti critici sono stati rivolti anche alle regioni, compreso quelle più virtuose, per le lentezze burocratiche e le macchinosità autorizzative. Proprio la ricchezza e la varietà dei punti di vista che si sono confrontati, stanno a indicare quanto profonda e diffusa sia la reazione di fronte all’atto governativo e quanto consapevole sia la funzione di innovazione della nostra economia e di creazione di nuova occupazione, in particolare giovane, di questo settore.
In sostanza siamo di fronte a un nuovo movimento, o meglio a un movimento di tipo nuovo, ove si trovano assieme lavoratori, imprenditori, tecnici, intellettuali, ambientalisti. Un interclassismo una volta tanto positivo che mette al primo posto gli interessi di un nuovo tipo di sviluppo del paese, di una industrializzazione diffusa a misura d’uomo e d’ambiente, di una ripresa dell’occupazione, di una profonda innovazione tecnologica al servizio della società.
Non poteva mancare quindi uno scontro esplicito, portato con molta energia – scusate il banale gioco di parole, ma è quasi inevitabile – da diversi interventi contro la Confindustria, in particolare nei confronti delle dichiarazioni della presidentessa Marcegaglia. Né è bastata a calmare gli animi la dura intervista contro il decreto governativo, comparsa oggi su la Repubblica, del vicepresidente di Confindustria Samuele Gattegno che comunque testimonia di una profonda spaccatura su questo tema anche nel sindacato padronale.
Le conclusioni dell’assemblea hanno sollevato qualche scetticismo tra i presenti: mentre uno degli organizzatori definiva l’incontro addirittura come l’inizio di una nuova rivoluzione, altri dal pubblico facevano intendere di fidarsi ben poco sulle possibilità di modifica del testo governativo che comunque le associazioni porteranno in un probabile futuro incontro con il Ministro Romani. In particolare si è insistito sulla non retroattività del provvedimento, sul mantenimento delle incentivazioni agli impianti in costruzione o già autorizzati, la definizione di un quadro normativo che tenga conto per tutte le fonti di una previsione di crescita al 2020 in linea con le potenzialità del settore e il progressivo abbattimento dei costi.
Sarà lotta dura, quindi, e certamente continuerà. Sarà sempre più chiaro la distanza che separa questo nostro governo non solo dal mondo del lavoro e dell’impresa, non solo da quello dei cittadini e della difesa ambientale, ma dalla stessa Commissione europea che in queste ore ha deciso di aumentare, per i paesi membri della Ue, dal 20% al 25% la riduzione delle emissioni di gas-serra entro il 2020.