In questo parcheggio enorme del centro commerciale avverto il ticchettare affrettato di passi femminili che mi seguono. Mi volto: è una specie di bull-dog coi tacchi, bulbi oculari roteanti, bocca a fessura che si contrae a intervalli in smorfie di disgusto. Affretto il passo. Lei pure. Non ci posso credere: la sua Panda verde bottiglia è parcheggiata a mezzo metro dalla mia macchina, in testa coda, in modo cioè che i due sportelli del guidatore rimangano a poca distanza. Entro nel cunicolo e lei pure. Apro lo sportello e lei pure. Non c’è spazio per entrare in macchina, siamo bloccati. Nessuno parla, ci fissiamo con odio selvaggio. Nelle sue pupille roteanti di cagna impunita si riflettono le fottute lucine dei fottuti addobbi. Valuto se spezzarle il collo con lo sportello della Panda, ma ci sono troppi testimoni. Nei suoi occhi posso vedere il film che si sta facendo in testa: lei che urla selvaggiamente accusandomi di tentati crimini sessuali, la sicurezza che accorre, io a terra sanguinante, la folla ululante, il linciaggio. Lei intuisce in me l’animale uomo senza briglia, vorrebbe la mia umiliazione, la mia morte. Mi contraggo, scivolo in macchina e riesco a partire. Nello specchietto la vedo, con i suoi pacchi ai piedi, davanti allo sportello aperto della panda verde, che mi fissa con odio inestinguibile.