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Wall –E

Questo film è anche, e forse soprattutto, una grandissima storia d’amore

sabato 1 novembre 2008, di Sandra Avincola


Immaginiamo una terra che, in un lontano imprecisato futuro, è stata abbandonata da tempo immemorabile dai suoi abitanti, in fuga dalle immense montagne di rifiuti (sic!) che ingombrano ogni spazio vitale.
Immaginiamo ancora che, in questi desolati spazi di grattacieli in rovina, dove a dominare è il grigio di una polvere infinita, si aggiri un piccolo robot dimenticato, ma ancora in funzione, il cui compito è di inglobare ed espellere, dopo averlo trasformato in un blocco compresso, ogni materiale di scarto in cui si imbatta.
Che succede se in questo mondo di degrado e solitudine un altro essere, una robotina di nuovissima generazione, viene depositato per compiere un’opera di ricognizione sul pianeta disabitato?
Per saperlo occorre vedere il film, e assicuriamo che ne vale davvero la pena.
Impossibile non venire trascinati (e conquistati) dalla poeticità intrinseca a una storia dai molteplici risvolti, dove si passa dal riso alla commozione, dall’ironia al “dramma” (marcato, come in “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, dalle note eroiche di “Als sprach Zarathustra”).
L’azione, che indugia nella prima parte in lunghe pause descrittive della “vita” di Wall-E (tale è il nome del robot, ovvero è un Waste Allocator Load Lifter - Earth class, un sollevatore terrestre di carichi di rifiuti) sulla terra, sulla sua personalissima collezione di “tesori” e sulla sua visione di vecchi film musicali americani, (in particolare di “Hallo, Dolly”) comincia ad impennarsi dopo l’arrivo di Eve, la bianca robotina che gli ruba il cuore; si fa incalzante quando, per non perdere l’amata, il piccolo robot compie un terrificante viaggio negli spazi siderali attaccato all’astronave (e qui l’animazione, che ci mostra lo spazio cosmico da una prospettiva sempre più dilatata, raggiunge davvero i suoi vertici artistici); diventa vorticosa quando approdiamo alla stazione spaziale dove, alla stregua dei polli d’allevamento, un’umanità imbolsita e fiacca si lascia coccolare da una specie di industria del tempo libero e del divertimento, che ne ha annientato ogni capacità decisionistica.
È singolare che, su questo sfondo di desolante disumanizzazione, l’unico essere ancora capace di reali, genuini sentimenti sia proprio l’uomo-macchina, il piccolo Wall-E, sempre più ferrovecchio man mano che si piega ad eroiche azioni in prima linea per difendere il suo amore. Il messaggio che si ricava dal film (di cui, per ovvi motivi, non sveliamo il finale) è differenziato e complesso, spaziando dalla necessità della salvaguardia ambientale alla critica severa della civiltà di massa “dominata” dalla televisione, fino all’auspicato ritorno ad un’economia “reale”, dove il metro di misura siano il lavoro umano e la fatica, anche fisica, del fare.
Che tutto questo ci venga propiziato da un film d’animazione della Disney Production ci lascia piacevolmente stupiti, soprattutto dopo i fatti recenti che hanno messo in ginocchio il mondo della finanza e dell’economia “virtuale” statunitense.
Ma questo film è anche, e forse soprattutto, una grandissima storia d’amore: pochi, credo, hanno potuto reprimere un moto di commozione quando Wall-E riesce a insinuare la sua metallica estremità (ovvero la sua “mano”) nel liscio, terribile artiglio della sua amata Eve. Grande, grandissima poesia.

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