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Vuoti a rendere

domenica 1 febbraio 2009, di Sandra Avincola


Il cinema europeo, nella sua connotazione più “nobile”, trova spesso tematiche avvincenti (e felici soluzioni espressive) quanto più affissa il suo sguardo sulla vita quotidiana nelle grandi città grondanti di storia e d’arte. Ecco allora dipanarsi storie di tono minimalista, dove a dominare non sono personaggi “eccezionali”, ma situazioni di vita ordinaria, vissuta da gente altrettanto ordinaria.

Come Josef, il protagonista di “Vuoti a rendere”, di Jan Sverak. L’uomo, un maturo professore di liceo nella Praga dei nostri giorni, avverte in pieno il senso d’irreversibilità della crisi esistenziale che sta attraversando.
La progressiva perdita di senso nell’esercizio della sua professione, dovuta al marcato disinteresse nei confronti di qualsivoglia tematica culturale da parte di studenti sempre più arroganti, lo fa sentire profondamente infelice.
È così che decide di lasciare l’insegnamento e d’inventarsi qualcosa che restituisca autenticità e calore alla sua vita, sotto l’occhio critico della moglie Eliska, a sua volta ex insegnante.
La donna intuisce l’ansia di evasione del marito, cui oppone i suoi malumori di casalinga trascurata e amareggiata dal fallimento del matrimonio della figlia Elenka. Josef cerca, con scarso successo, d’impiegarsi come pony express, finché accetta di lavorare presso un supermarket come addetto allo smaltimento dei “vuoti a rendere”, vale a dire delle bottiglie vuote riciclabili.
Quest’umile attività lo mette a contatto con il variegato universo umano che si affolla quotidianamente nel supermercato: compagni di lavoro, vecchie signore abbandonate alla solitudine della grande città, deliziose fanciulle dal pancino scoperto che gli fanno fare sogni erotici al calor bianco…
Ogni personaggio, dal nipotino che egli ama teneramente, alla figlia ferita e confusa, agli ex colleghi di scuola che vanno a fargli visita, è schizzato con mano felicissima e reso indimenticabile da un tratto caratteristico, un tic, un’espressione particolare. Praga smette, una volta tanto, di posare a città – cartolina per darci un’immagine di sé sicuramente più autentica, sia nei bellissimi esterni (“vedute” invernali, panorami mozzafiato dall’alto di un pallone aerostatico), sia negli ancora più intriganti interni, su cui domina la cucina – tinello della casa del protagonista, minacciata (com’è giusto, trattandosi di un professore) dall’avanzata dei libri e “vissuta” che di più non si potrebbe.
Il film racconta di sentimenti sfumati, autunnali, propri di quella fascia di vita che s’avvicina sempre più alla vecchiaia, ma che ancora non rinuncia a qualche sussulto di giovinezza, da vivere sia pure nella fantasticheria a occhi aperti. Di particolare rilevanza, pur nella brevità che il tema – appena accennato – acquista nell’economia del film, pare la rappresentazione iniziale delle frustrazioni di Josef come insegnante, di fronte a un universo giovanile che sembra annegare nel vuoto di valori e nell’autoreferenzialità di un mondo iper - tecnologizzato dove non si riconosce più alcun ruolo alla cultura. Attenzione, perché questo grido d’allarme ci proviene, cinematograficamente parlando, da più parti.
Senza voler fare riferimento ad episodi di violenza estrema (chi non ricorda lo statunitense “Bowling a Columbine”?), abbiamo gli esempi recenti del tedesco “ Die Deutschstunde” di Theo Tucher (2007) e del recente “La classe” di Laurent Cantet, già recensito su queste colonne: due film dove, accanto alla rappresentazione del disagio giovanile nella società contemporanea, s’accampa il tema del difficile e deficitario processo d’integrazione dei giovani, (specie d’origine musulmana) nei valori e nella cultura del paese ospite. Il problema del disagio giovanile mette in campo temi” forti”, quali la disumanizzazione progressiva nei rapporti interpersonali, l’odio nei confronti di chiunque tenti di porre un freno, sulla base di un ruolo oggettivamente riconosciutogli, alla propria voglia di vivere in autarchica, egoistica mancanza di regole.
In definitiva, il quadro che emerge della realtà scolastica nei paesi occidentali è davvero preoccupante, se è vero che un personaggio umanissimo, tenero e amante della vita come Josef deve allontanarsene per poter tornare a essere “felice”.

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