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Fenomenologia di Harry Potter: parte seconda

lunedì 21 settembre 2009, di Sandra Avincola


Tornando ad Harry Potter, si dimentica che l’opera è soprattutto un romanzo di formazione, ambientato per la sua massima parte nel luogo deputato dell’evoluzione psicologica e cognitiva giovanile: la scuola. Anzi, nessun’opera narrativa aveva, fino a questo momento, dedicato uno spazio così ampio alla rappresentazione dell’ ”ordinario scolastico”, sotto forma di successione, anno dopo anno, di un intero ciclo di apprendimento. Che poi le discipline in programma siano diverse da quelle di una scuola “normale”, che esse contemplino insegnamenti quali divinazione, formulari magici, erbologia, conoscenza delle creature mostruose, difesa contro le arti oscure, preparazione di pozioni, trasformazione di oggetti ed esseri viventi, è un particolare d’importanza relativa: la scansione dell’anno scolastico in periodi di studio e di vacanza segue anche qui ritmi analoghi alle istituzioni dei “babbani”; un rendimento scarso viene stigmatizzato con la stessa severità (e cattivi voti) da parte degli insegnanti, mentre l’applicazione costante è coronata da risultati brillanti e da lode. Gli allievi della scuola di Hogwarts (Hogwarts School of Witchcraft and Wizardry) apprezzano oltremisura i docenti validi e disposti a intrattenere con loro un rapporto di reciproca fiducia, detestano o disprezzano quelli poco competenti o inclini al sadismo, alla stessa stregua degli studenti di ogni tempo e paese. Ci sono le feste scolastiche, le visite periodiche al vicino centro commerciale di Hogsmead, così come le competizioni sportive fra diverse squadre di allievi…
Certo, le mense sono imbandite grazie a un solo cenno dell’head-master Albus Dumbledore e le vivande sono cucinate dagli elfi (che nel mondo dei maghi svolgono mansioni da schiavi: ma qui Rowling non dice niente di nuovo …). Quanto alle suddette competizioni, esse prevedono partite di Quidditch, una specie di rugby che si gioca volteggiando a velocità vertiginosa su delle scope volanti: ma, sottoscritto da parte del lettore il patto narrativo con l’autrice e presa per buona l’esistenza di una dimensione autre, le analogie con la realtà più comune sono incredibilmente numerose. D’insolito, semmai, ci sarebbe la propensione del protagonista a spasimare dal desiderio per l’inizio dell’anno scolastico e a considerare le vacanze estive - niente più niente meno - come una discesa agli inferi: senonché la situazione personale e famigliare di Harry è talmente anomala da rendere comprensibilissima quest’inversione, poco in riga con la scala dei valori di uno studente ordinario. Egli, infatti, è costretto dalla sua condizione di orfano a vivere presso gli zii che non lo amano e che anzi guardano con un misto di terrore e di odio ai suoi “poteri”; al riguardo, si può dire che i “siparietti” iniziali in Privet Drive sono fra le parti più godibili dell’intero ciclo di romanzi, così come particolarmente riuscite sembrano, sul piano descrittivo, le caratterizzazioni degli zii di Harry (Vernon e Petunia) e del cugino Dudley.
Hogwarths è il vero regno di Harry. È, prima di tutto, il luogo della sua piena realizzazione, in cui la sua presunta “diversità” (temuta e tenuta a freno, finché possibile, dagli zii) si esplica sotto forma di eccezionali abilità nell’operare magie. Hogwarts è anche il luogo dei suoi trionfi sportivi come seeker nelle partite di Quidditch e – soprattutto – l’unico ambito in cui egli possa intrattenere rapporti umani all’insegna dell’amicizia, dell’apprezzamento reciproco, della piena comprensione.
Più che l’amore - approdo finale di un processo di formazione che va dagli undici ai diciassette anni – a svolgere un ruolo di primo piano nel romanzo è l’amicizia, vista come elemento indispensabile alla crescita morale ed affettiva di un individuo. Gli amici di Harry – Ron ed Hermione in primis - ma anche l’amato padrino Sirius Black, il professore Remus Lupin, il nucleo famigliare dei Weasley e il gruppo di maghi e streghe rifluiti nell’Ordine della Fenice, rappresentano per lui i pilastri che puntellano un equilibrio emotivo duramente provato dalla tragica morte dei suoi genitori per mano di colui-che-non-deve-essere-nominato, e che invece Harry cita con spavalda noncuranza: Lord Voldemort, (the Dark Lord, secondo la definizione del professor Snape), ovvero il suo alter ego negativo, il mago più potente e crudele che gli ha segnato la fronte con la famosa cicatrice a forma di saetta.
Non si è insistito abbastanza, a nostro avviso, su come la Rowling abbia saputo rendere conto delle insicurezze, delle impennate di orgoglio che rasentano l’arroganza, nonché delle temerarietà proprie dell’adolescenza: rapita dalle asperità e dagli eccessi di questa età così struggente nel ricordo, così amara e ingrata nel momento in cui la si vive, l’autrice si muove con piena padronanza dei suoi mezzi nel mondo da lei stessa evocato, fornendoci una descrizione dei temi propri del disagio giovanile di non comune efficacia. Le cronache dei giorni di scuola di Harry e dei suoi compagni disegnano un quadro perfettamente attendibile della vita scolastica in cui ciascuno può rispecchiarsi: un ambiente dove nascono legami destinati a durare per la vita, ma dove fermentano anche inimicizie ed odi mortali; dove alla solidarietà e all’appoggio degli uni si contrappone lo sberleffo e le pulsioni vendicative degli altri; dove sfilano figure di insegnanti colti nella particolarità di un tratto fisico, di un’attitudine costruttiva o distruttiva, di un tic, di una forza o di una debolezza.
Riteniamo, in tal senso, che dei sette volumi che compongono la saga quello che è in grado di rendere l’ambiente scolastico con maggiore verosimiglianza sia il quinto, Harry Potter e l’Ordine della Fenice.
(segue...)

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