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Sleuth – Gli insospettabili

lunedì 19 novembre 2007, di Sandra Avincola


Remake di un film di J.Mankiewicz del 1972, Sleuth demarca la sua ragion d’essere e la sua distanza dalla prima versione con un’accentuazione degli elementi caratterizzanti la nostra contemporaneità (la casa che fa da sfondo alla vicenda è in tal senso un vero e proprio concentrato di diavolerie iper-tecnologiche); ma, quasi a voler mantenere un legame ideale con la prima versione, il ruolo dello scrittore di crime-stories (già appannaggio di sir Laurence Olivier) è qui interpretato da Michael Caine, che nel film precedente sosteneva la parte del fascinoso Milo (oggi, Jude Law).
Un film il cui svolgimento si affidi all’interpretazione di due soli attori, e la cui ambientazione sia presso che esclusivamente in interni, parte già con un’ipoteca di difficile godibilità, a meno che … a meno che, per esempio, il plot sia davvero ricco di colpi di scena, tale da inchiodare lo spettatore alla sedia. E qui il film sembra avere le carte in regola; anzi, il susseguirsi di sorprese e i bruschi capovolgimenti della vicenda lasciano alla fine un po’ frastornati, quasi che esso sia stato pensato, scritto e realizzato al solo scopo di tendere trappole allo sconcertato spettatore. Eccone la trama: Andrew, scrittore da tempo assurto alla fama e a una grande ricchezza, ha accettato di incontrare nella propria abitazione (una fastosa villa alla periferia della città), il giovane e bellissimo amante della moglie, Milo, per discutere con lui i particolari di un possibile divorzio. Il primo impatto è subito urticante: Andrew, ormai alle soglie della vecchiaia ma poco disposto a riconoscere di dover cedere le armi, prova un odio istintivo per quel ragazzo di umili origini (un parrucchiere di padre italiano e scarsi mezzi finanziari), e cerca subito di umiliarlo soverchiandolo con la sua cultura e l’ostentazione del lusso in cui vive. A tutto ciò il rivale oppone la sua trionfante giovinezza, il bell’aspetto e la potenza sessuale che ha conquistato la moglie fedifraga di Andrew. Il duello serrato, dapprima solo verbale, dispiega una notevole serie di doppi sensi: come quando, ad Andrew che fa notare a Milo la scarsa propensione degli Italiani per la cultura, il ragazzo risponde “però hanno il salame più buono del mondo, ed io lo mangerò stasera con sua moglie” (della serie Italians do it better…). Finché si passa, dalle parole, alle vie di fatto: e qui non possiamo aggiungere altro per non rovinare l’effetto-sorpresa; basti aggiungere che, in un crescendo di emozionanti capovolgimenti di fronte, assistiamo ai reiterati tentativi di ciascuno dei due di distruggere l’altro. Nessuno lesina mezzi nella ricerca della vittoria e dell’umiliazione del nemico: da una parte, l’arma della corruzione (la prospettiva di un facile arricchimento, di una vita finalmente libera dalla mediocrità e dal bisogno); dall’altra, quella della seduzione (un corpo che sa concentrare su di sé pulsioni etero ed omosessuali, il potere della bellezza in quanto tale, l’autoreferenzialità della giovinezza). Uno dei due riuscirà a smascherare l’altro, a farlo specchiare nelle proprie inconfessate pulsioni, con esiti altamente drammatici…
Per rendere tutto questo convincente (e per tornare al nostro a meno che…), s’è resa necessaria la seconda condizione pregiudiziale: la bravura degli attori. E qui, va detto, il film raggiunge davvero il suo apice. Michael Caine fa intonare al suo Andrew le note stridule di un uomo assetato di rivalsa, che finisce però col subire il fascino di un essere in grado di competere, in quanto ad intelligenza, con lui; Jude Law ci dà qui la sua prova d’attore forse più convincente, dispiegando al meglio le sue risorse di gestualità e di istrionismo.

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