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Date a Cesare quel che è di Cesare

E a Dio ciò che è di Dio.

venerdì 14 dicembre 2007, di Boris Marturano


Circa 2000 anni fa un falegname di nome Gesù sosteneva così la distinzione tra gli affari dello Stato e la sfera spirituale. Fa effetto che oggi proprio la Chiesa cattolica, ovvero l’istituzione che si definisce portatrice della parola e dell’insegnamento di Gesù, non rispetti questo precetto.
Mi riferisco ad una serie di privilegi (perché di questo stiamo parlando) di cui la Santa Sede gode in barba al principio di laicità dello Stato. Eccone alcuni esempi. In base ad una legge del 1992, le “case religiose” (in alcuni casi vere e proprie catene alberghiere di lusso che fanno affari a palate) sono esentate dal pagare l’Ici. Nel 2004 però la Corte di Cassazione ha dichiarato illegittima tale norma restringendone il campo di applicazione ai soli immobili che “non svolgono anche attività commerciale”. Una interpretazione ragionevole, visto che la ratio della legge era sgravare gli enti religiosi e non religiosi (quindi anche Onlus, sindacati, partiti, ecc..) dal peso di una tassa, riconoscendo loro una funzione sociale degna di rilievo.
La Chiesa cattolica non mancò, allora, di appellare la decisione della Suprema Corte come “sentenza folle”. A rimediare (temporaneamente) alla faccenda ci ha pensato il governo Berlusconi con un decreto dell’autunno 2005 che ripristinava l’esenzione totale dall’Ici per le proprietà ecclesiastiche “a prescindere” da ogni eventuale uso commerciale.
Il Governo Prodi, da par sua, ha seguito la scia: con un cavillo inserito nei decreti Bersani infatti, sono stati esentati dall’Ici gli immobili che abbiano uso “non esclusivamente commerciale”.
Una formula, questa, inedita nel panorama del diritto italiano, che in pratica significa che il 90-95% delle proprietà ecclesiastiche continua a non pagare.
Ora della questione si occupa la Commissione europea, che indaga per l’ipotesi di “aiuti di Stato mascherati”, contrari alla concorrenza. La morale è che ogni anno i Comuni perdono oltre 400 milioni di € (fonte: Associazione Nazionale Comuni Italiani) che potrebbero e dovrebbero essere destinati a servizi sociali quali asili nido, scuole, assistenza agli anziani, ecc..

Altra questione, l’8 per mille. Grazie ad un sistema distorto, che ridistribuisce in maniera proporzionale anche i soldi delle dichiarazioni dei redditi lasciate in bianco (il 60%!), la Chiesa ottiene quasi il 90% del totale disponibile, circa 1 miliardo di € annui. Ma solo il 20% di questi fondi é destinato a progetti caritatevoli in Italia o nel Terzo Mondo, l’80% rimane invece alla stessa Chiesa cattolica (fonte: Avvenire).
Last but not least, la questione dell’ora di religione. L’ultimo dato ufficiale del Ministero parla di 650 milioni di spesa per gli stipendi agli insegnanti di religione (nominati dai vescovi, tra l’altro), ma risale al 2001, quando erano 22 mila e tutti precari.
Ora sono diventati 25.679, dei quali 14.670 passati di ruolo grazie ad una rapida e un po’ farsesca serie di concorsi di massa inaugurati dal governo Berlusconi nel 2004, quindi il costo totale per lo Stato italiano ammonta a circa 1 miliardo di €. (!)
Se a queste voci aggiungiamo 700 milioni di € versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità, i finanziamenti a grandi eventi come Giubileo e raduni della gioventù, le esenzioni da Irap e Ires, in totale la Chiesa costa allo Stato Italiano circa 4 miliardi di € annui.
All’inizio si diceva «Date a Cesare quel che è di Cesare...»: a me pare che la Chiesa si prenda pure quello! Sia chiaro, chi scrive non chiede a nessuno di non fare affari, ma solo di non essere così ipocrita da farlo in nome di Gesù.

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