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Mike Leigh

Another Year

La storia di un gruppo di diversi ed emarginati, tutti coinvolti nella ricerca di un compagno da amare o tesi al superamento di un lutto traumatico.

sabato 5 febbraio 2011, di Sandra Avincola


Chi ha amato, nell’ambito della filmografia di Mike Leigh, lo straordinario “Segreti e bugie” (1996), non potrà non riassaporare quel retrogusto dolceamaro che l’ostensione improvvisa di squarci di verità lascia nella bocca dello spettatore. E se qualcuno si domandasse cosa intenda il regista per verità, la risposta non potrà essere che una: quella relativa a un’umanità lasciata vivere e – diremmo – “respirare” sotto l’occhio lucido e imparziale della cinepresa.
Come in “Segreti e bugie”, anche qui il microcosmo da indagare è quello di un nucleo familiare, composto da una coppia di sessantenni felicemente realizzati nella professione e negli affetti, Tom e Gerri, e dal loro figlio trentenne, Joe, che mal sopporta il proprio perdurare nella condizione di single. Intorno a questi personaggi ruota un sottobosco di amici e famigliari ben lungi dal condividerne lo status di sereno appagamento; tutti, anzi – dalla collega di Gerri, Mary, perennemente alla ricerca di una stabilità affettiva che la ripaghi di una vita di frustrazioni, a Ken, vecchio amico di Tom affisso ad una irremissibile solitudine, al fratello dello stesso Tom, Ronnie, quasi istupidito da un’improvvisa vedovanza che lo fa sentire un relitto sperduto in mezzo all’oceano –, si sentono attirati dal calore di questa famiglia che appare ai loro occhi come l’incarnazione di ciò che ciascuno di loro ha sempre desiderato realizzare senza peraltro riuscirvi.
La tavola apparecchiata è, insieme all’orto che i due coniugi curano nel retro della loro casa fuori città, metafora di una semplicità di vita colta nei suoi snodi e, diremmo, “ritmi” esistenziali, scanditi dall’alternarsi delle stagioni: non a caso il film abbraccia quattro tempi, primavera, estate, autunno e inverno. Se pioggia e sole sono entrambi necessari per la maturazione dei pomodori e la crescita delle pianticelle di basilico, anche un invito a cena fatto a un amico meno fortunato, anche un barbecue o l’offerta generosa di un buon vino sono indispensabili per la coltivazione dei sentimenti. E, come già in “Segreti e bugie” o ne “Il segreto di Vera Drake”, anche qui le figure femminili sono portatrici di una dimensione di coraggio che, sia pure tra errori e cadute di stile, le rende più capaci di rischiare, di rimettersi continuamente in gioco. In tal senso Mary, segretaria nella struttura sanitaria in cui Gerri svolge il suo lavoro di psicologa, è figura davvero emblematica.
L’insistenza con cui Leigh cattura le emozioni del personaggio attraverso un uso quasi ossessivo dei primi piani, marca la volontà del regista di frugare nell’intimo dell’individuo per carpire quei segreti di cui ciascuno è portatore. E Mary è, ben più della sua ospitale coppia di amici, capace di creare un corto circuito emotivo anche in chi ha fatto dell’autocontrollo razionale la cifra d’identificazione del proprio rapportarsi agli altri. In fondo, sembra volerci dire il regista, non c’è tensione, incomprensione o arroccamento nella propria solitudine che non possa essere messo in crisi dal poco “politicamente corretto” calore di un improvviso – e inaspettato – abbraccio.

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