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Cannes

Il ragazzo con la bicicletta

venerdì 3 giugno 2011, di Sandra Avincola


Lo confessiamo: non ci sarebbe spiaciuto se dopo il Palmares del 1999 per “Rosetta” e quello del 2005 per “L’enfant”, la giuria di Cannes avesse deciso anche quest’anno di assegnare il massimo riconoscimento a “Le gamin au vélo” dei fratelli Dardenne. Nessuno, più di loro, meriterebbe un premio a cadenza regolare (vogliamo fare sei anni?), data la capacità di cui danno prova di saper intessere dolenti variazioni sul tema dei “refusés” del deserto metropolitano. A gridare questa volta la sua rabbia di emarginato, anzi di respinto dalla vita, è un ragazzino undicenne che un padre egoista e inadempiente ha parcheggiato in un centro di accoglienza per l’infanzia prima di far perdere del tutto le sue tracce. La regia segue con implacabile ferocia la sequenza degli stati emotivi che si fanno guerra nell’animo di Cyril: dall’incredulità dell’essere stato abbandonato alla caparbietà di voler rintracciare il padre per ricongiungersi a lui, fino alla presa d’atto della triste realtà e conseguente dilagare in lui di un odio “universale” che non risparmia niente e nessuno. La bicicletta sulla quale trascorre velocemente per strade e piazze è la cifra visiva del suo furore impotente, del suo desiderio di fuggire lontano dalla miseria di una vita che gli ha azzerato ogni affetto. Ogni affetto? Quando sembra che nulla possa più arridergli, qualcosa – qualcuno – sopraggiunge a erogargli amore con la semplice gratuità con cui il caso manipola talora le storie individuali: una giovane donna, proprietaria di un negozio di parrucchiere, prende a cuore la vicenda umana del ragazzo e accetta d’essere sua affidataria durante i fine settimana. Sarà l’inizio di un rapporto tutt’altro che facile, anche perché scoprire che un estraneo è in grado di far dono affettivo di sé in misura ben più significativa del proprio genitore è verità dura, difficile da accettare. I sussulti emotivi che ne conseguono sono rappresentati nel carattere estremo dei gesti del ragazzo: corse disperate, risse con i coetanei, esplosioni “fisiche” d’inaudita violenza. Ma l’amore – quello vero, sembrano volerci dire i Dardenne, mite e paziente - è una sirena al cui canto difficilmente si resiste: ed ecco l’aggressività stemperarsi, la reattività esasperata comporsi nella misura “adulta” del perdono.
I protagonisti, dal ragazzo che interpreta le complesse torsioni psicologiche ed emotive del protagonista, a Samantha, la giovane donna che rifonda le basi della sua evoluzione umana (quella Cécile de France già ammirata di recente in “Hereafter” di Clint Eastwood), sono straordinari.


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