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Governo Monti

Il dilemma della sinistra

venerdì 11 novembre 2011, di Alfonso Gianni


Giunta al bivio fra elezioni anticipate e la formazione di un governo di salvezza nazionale, il quadro politico italiano sembra avere preso la seconda strada. Quella a mio avviso peggiore. E’ un percorso tutt’altro che facile e scontato. Infatti non è detto che si realizzi e a questo punto ritornerebbe in auge lo scenario delle elezioni a brevissimo termine. Innanzitutto perché è un progetto ambizioso. Nelle sue intenzioni il governo del Presidente (nel senso di Napolitano) – come è giusto chiamarlo – non pone affatto limiti brevi alla sua durata. La scelta che sta maturando è alternativa alle elezioni anticipate.

L’indicazione di Mario Monti viene fatta per tranquillizzare e compiacere i mercati finanziari e le leadership politiche e tecnocratiche europee. Poiché la tempesta della crisi è tutt’altro che attenuata e qualunque suo esito appare incertissimo e in ogni caso lontano, è evidente che il mondo economico si aspetta una stabilizzazione del quadro politico italiano almeno fino alla scadenza naturale della legislatura. D’altro canto applicare quanto la Bce ci ha chiesto e che i 39 punti – altrettanti chiodi piantati sulla nostra bara – di Olli Rehn ribadiscono impietosamente non è cosa da poco e di poco tempo.

E infatti non è detto che il probabile nuovo governo nascente ce la faccia, sia perché qualche variante rispetto al dettato europeo dovrà pure inserirla – ma per quanto timida potrebbe bastare per innervosire i mercati e le tecnocrazie -, sia soprattutto perché è certo che i movimenti sociali non staranno a guardare. Neppure la Cisl può ingoiare senza colpo ferire, per fare solo un esempio, la riduzione dell’occupazione e dei salari del pubblico impiego come è esplicitamente chiesto nel secondo punto della lettera della Bce dello scorso agosto. Oppure può accendersi una grande conflittualità tra le forze politiche, magari più a destra che altrove, visto che è lì, e non nell’altro schieramento, che sta avvenendo lo smottamento del maggiore partito, in quel caso il Pdl.

Quindi è sempre possibile che alle intenzioni non corrisponda la effettiva possibilità di realizzazione. Cioè che la costruzione del governo non vada in porto oppure che la sua durata possa venire drammaticamente interrotta in tempo per andare a votare nella prossima primavera. Ma allo stato delle cose è meglio ragionare come se avessimo davanti un progetto forte e per di più fin a poco fa inatteso.

Per Sel il problema politico mi pare ormai delineato ed è in sostanza il seguente: come evitare di farsi attrarre in un progetto di governo che non potrebbe non avere un asse programmatico sovradeterminato dalle scelte di politica economica della Ue che Sel ha sempre nettamente avversato – con tutte le conseguenze negative sulle condizioni di vita dei ceti popolari che le varie versioni della legge di stabilità hanno fin troppo chiaramente previsto – e contemporaneamente condurre un’opposizione di qualità, che faccia avanzare elementi di un programma alternativo di uscita dalla crisi e allo stesso tempo non mandi in frantumi la possibilità di ricostruire un nuovo centrosinistra in vista della prossima scadenza elettorale.

Per svolgere questo ruolo, Sel deve completare la definizione della propria identità ideale e programmatica come soggetto politico autonomo della sinistra. E’ una partita complessa da giocare. Ma questo vale anche per gli altri. Vale per Il Pd, il quale sa di potere perdere voti e consensi in questa operazione di un governo assieme alla destra berlusconiana, sia alla sua sinistra, sul versante di Sel in particolare, sia alla sua destra con un possibile rafforzamento dello schieramento di Casini. Vale per lo stesso Di Pietro, il cui dichiarato irrigidimento all’opposizione – nella speranza di arrivare presto e comunque a elezioni anticipate – pare però incontrare molte resistenze nel corpo della sua formazione politica che in effetti non può definirsi come classicamente di sinistra.

Sull’altro versante dello schieramento politico, bisogna convincersi che una ragione c’è nell’improvviso cambio di atteggiamento di Berlusconi nei confronti dell’ipotesi governo Monti. Mi riesce difficile credere che ciò derivi solamente da uno scoramento dell’uomo o dal semplice prevalere delle preoccupazioni sul crollo del suo impero economico. Credo piuttosto che si celi una speranza tutt’altro che infondata. Quella di potere lucrare da una doppia posizione di chi sta con propri uomini nel governo e nel contempo può prenderne le distanze per rifarsi l’immagine in vista di una prova elettorale. Perché questo disegno possa in qualche modo andare in porto, alle destre è indispensabile che l’eventuale operazione governo Monti segni anche la rottura pressoché definitiva del centrosinistra.

Nello stesso tempo e al contrario, se nel centrosinistra tutti seguissero la strada che il Pd sembra avere imboccato e quindi si solidificasse l’esperienza dell’eventuale nuovo governo, mi parrebbe assai difficile al termine della legislatura, o persino in caso di elezioni nella prossima primavera, progettare altre candidature a premier diverse da quella dello stesso Mario Monti. Ovvero se il progetto decolla potrebbe persino prenotare schieramenti e leadership futuri, anche oltre questa legislatura. E a quel punto parlare di alternativa sarebbe davvero difficile.

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