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1989

Una mancata terra promessa

La Russia ai giorni nostri

martedì 6 novembre 2007, di Marina Bernabei


Il 9 novembre 1989 rimane nella memoria collettiva la data simbolica della caduta del Muro di Berlino. Il suo smantellamento effettivo non avvenne in quel giorno, ma il libero passaggio di centinaia di persone attraverso i suoi varchi rappresentò di fatto il suo abbattimento.
La barriera eretta tra Est e Ovest si dissolveva e con essa si poneva fine a un modello di comprensione della realtà che aveva dominato le relazioni tra gli stati e la vita dei suoi cittadini dalla Seconda guerra mondiale in poi.
La caduta del Muro di Berlino fu, infatti, il primo segnale di un cambiamento epocale, che giunse a maturazione soltanto negli anni successivi: il dissolvimento dell’Urss e il crollo dei regimi comunisti nell’Europa orientale.
Ogni fine presuppone la possibilità di un nuovo inizio. Ogni nuovo inizio carica sulle sue spalle aspettative e speranze. E’ lecito oggi domandarsi, a distanza di diciotto anni, quali sono stati gli esiti del processo di democratizzazione avviato. Ovviamente si tratta di un cambiamento che per la sua stessa natura ha avuto svariati risvolti e molteplici conseguenze su una pluralità di stati. La Federazione Russa può considerarsi il principale erede dell’Unione sovietica. Tracciare a grandi linee il volto della Russia di oggi significa fare un primo bilancio sulla corrispondenza tra risultati e attese.
In primo luogo occorre verificare la condizione dei cittadini sia da un punto di vista economico, che sul piano dei diritti e delle libertà. Il passaggio da un’economia pianificata e controllata dalle autorità centrali a un’economia di mercato non ha rappresentato una diffusione del benessere su larga scala, ma ha prodotto il sorgere di forti disuguaglianze sociali. In un’economia con una crescita annua stimata sul 7-8 per cento, l’estrema ricchezza di pochi cozza con l’estrema povertà della maggioranza della popolazione.
Il grado di libertà di uno stato si misura innanzitutto analizzando la capacità di manifestazione del dissenso, ovvero la libertà di stampa. Dal 1992 ad oggi sono stati uccisi 47 giornalisti russi e la grande maggioranza di questi omicidi è rimasta ancora senza un colpevole. Poco più di un anno fa veniva assassinata la giornalista russa Anna Politkovskaja, mentre stava redigendo un articolo sulle torture subite dai civili ceceni da parte delle milizie guidate dall’allora primo ministro della Cecenia, oggi presidente, Ramsan Kadyrov, appoggiato non troppo velatamente dal Cremlino.
Per quanto attiene il sistema politico, la Russia è formalmente una democrazia federativa, in cui il presidente, eletto direttamente ogni quattro anni, detiene un notevole potere esecutivo. La condotta di Putin degli ultimi anni ha palesato una gestione autoritaria e personale del potere e ha mostrato la debolezza e la corruzione delle istituzioni parlamentari. Il rinnovo di dicembre della Duma, il ramo basso del Parlamento, offre un ulteriore testimonianza di quanto detto. Putin, a fronte della prossima scadenza del suo mandato nella primavera del 2008, ha deciso di assumere il ruolo di capolista del partito “Russia Unita” alle elezioni parlamentari. Prima di lanciare la sua candidatura, è stata emanata una nuova legge elettorale ad hoc, sulla base della quale gli elettori potranno scegliere solo tra una lista di partiti e i seggi verranno attribuiti secondo il sistema proporzionale con una soglia di sbarramento al 7%.
Il voto politico rischia, quindi, di trasformarsi in un referendum plebiscitario a favore di Putin. L’acclamazione popolare potrebbe servire al presidente uscente per guadagnare la legittimità necessaria ad un cambiamento della legge in vigore, che fissa il limite massimo di due mandati per la carica presidenziale. In ogni caso sembra profilarsi la possibilità non troppa remota che egli possa ricoprire la carica di primo ministro e tenere da questa posizione le redini del potere, designando come suo successore una fedele marionetta, senza grandi doti e particolare carisma.
Sul fronte della politica estera, le ultime vicende mostrano il tentativo sempre più stringente dello stato russo di riaffermarsi come potenza globale. La sua pretesa di imporsi sulla scena mondiale e di influenzare il corso degli eventi dei paesi dell’Europa Orientale si esplica con strumenti più sofisticati rispetto alla repressione militare diretta. Le immense risorse energetiche di cui dispone e la minaccia latente di una chiusura dei suoi rubinetti sono la prima forma di ricatto nei confronti dei suoi vicini e dell’Unione Europea. Non mancano però, neanche, dimostrazioni di forza nei confronti degli Stati Uniti. La ripresa, dopo 15 anni di sospensione, dei voli sull’oceano Atlantico e su quello Pacifico dei bombardieri strategici russi o l’annuncio del potenziamento del sistema di difesa attraverso lo sviluppo di nuovi tipi di armi nucleari sono risposte risolute alla volontà americana di costruire uno scudo missilistico con basi anche in Polonia e nella Repubblica Ceca.
In questa contrapposizione mirata alla potenza statunitense si collocano le esternazioni del presidente russo circa l’opportunità di un ritiro delle truppe americane in Iraq o le decisioni del recente vertice dei paesi del Mar Caspio, consacrate dalla stretta di mano tra Putin e Ahmadinejad. Russia, Iran, Kazakhstan, Azerbaijian e Turkmenistan hanno dichiarato, infatti, il diritto di tutti i paesi ad impiegare l’energia nucleare a scopi civili e la loro opposizione ad azioni militari straniere sul proprio territorio contro uno dei cinque stati.

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