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La salvaguardia dei beni comuni

Dalle municipalizzate in svendita ad una legge nazionale

domenica 22 aprile 2012, di Antonio Mariano Teodorici


È oramai cosa nota che si va sempre più affermando la ovvietà, prima grazie al Governo Berlusconi e ora grazie al Governo Monti, che le linee politiche neoliberiste puntano sempre più alle privatizzazioni e all’abolizione, nei fatti, del bene o servizio appartenente allla comunità.
Al Comune di Rome si sta discutendo l’idea di una costituenda Holding delle municipalizzate ATAC-ACEA-AMA al fine di poter fare cassa vendendo a soggetti privati una quota del 21% portando la proprietà di ROMA CAPITALE dall’attuale 51% al futuro 30%. In questo contesto la Megasocietà, che gestirà tutte le municipalizzate della città , avrà probabilmente come socio di maggioranza relativa Roma Capitale, ma che sarà irrilevante quando sarà necessario mettere sul piano della stessa bilancia gli interessi pubblici e quelli privati, dove la quota del Campidoglio pari al 30% , quale unico soggetto pubblico, farà ben poco contro l’altra fetta del 70% in mano a soggetti privati. L’intera operazione, già in bozza nel bilancio, porterebbe nelle casse capitoline un gettito fiscale molto vicino ai 700 milioni di euro. Questo è il valore della gestione dell’intera regia dei beni e dei servizi della più bella città del mondo che sarà in mano a soggetti terzi e per nulla interessati a qualsiasi efficienza pubblica per il bene comune.
E pensare che basterebbe una Road Map di tre semplici parole chiave:
* Holding
* Management qualificato
* Piano industriale
Andando per punti sarebbe comunque importante, in linea con l’idea della Giunta Alemanno, optare per un’unica società (una Holding, appunto) che gestisca i diversi asset facendo in modo che da un lato si equilibri il controllo dei bilanci per evitare la frammentarietà delle diverse realtà aziendali, dall’altro si incentri l’intera organizzazione su un top management di alto livello internazionale. Per quanto riguarda il management, infatti, si potrebbe creare un sistema di controllo attraverso una "commissione tecnica permanente, indipendente ed eterogenea" i cui membri saranno docenti universitari non designati da alcun partito politico, ma valutati in base ai titoli e alle competenze trasversali. Infine, a trattazione dell’ultimo punto, sarebbe risolutivo un piano industriale che focalizzi due obiettivi: uno a breve termine per la riduzione dei costi; l’altro, invece, dovrebbe orientarsi in un planning che, nel medio-lungo periodo, stabilisca i criteri per la creazione dei profitti atti a coniugare esigenze pubbliche ed interessi privati.
Non si può poi non pensare che le Sinistre debbano muoversi per un’iniziativa legislativa che, seppur in un ambito riformista, metta i puntini sulle "i"per non fare in modo che si sfasci un Sistema, che per quanto imperfetto, ha funzionato.
Un’idea da sviluppare può essere quella di dividere, in una stringente catalogazione i "beni comuni primari" dai "beni comuni secondari". Quelli definiti "primari", e cioè quei beni di evidente utilità collettiva, devono continuare ad appartenere ad enti/aziende pubbliche per una quota minima non inferiore al 65%, e al massimo solo il restante 35% può aprirsi a capitali privati purché sussistano oggettive motivazioni economiche. Per quelli "secondari", propriamente identificabili in beni di non necessaria o manifesta utilità collettiva, si può avviare un processo razionalizzato di project financing di tipo più sociale che economico: un contratto che favorisca lo scambio tra pubblico e privato al fine di costituire un’equa relazione tra l’interesse del singolo rispetto agli interessi di tutta la comunità.

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