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Liberazione

L’antifascismo e il monologo di Scurati

Un testo pubblicato su Facebook

lunedì 22 aprile 2024, di Andrea Masala


Il monologo di Scurati è andato in diretta in diverse trasmissioni e telegiornali. Ed è un bene perché dice una cosa molto importante. Però anche noi dobbiamo dirci una cosa importante. Vediamo le 2 cose in ordine:

1) Scurati ha il grandissimo merito di uscire da quell’antifascismo liberal-conservatore preponderante in Italia: quello per il quale il fascismo è un male perché ha fatto le leggi razziali e la guerra a fianco a Hitler. Questa impostazione liberale di fatto perdona al fascismo 16 anni di crimini contro le libertà, gli oppositori, i lavoratori, le donne. È una impostazione classica, viene dai grandi apprezzamenti di Churchill e altri liberali verso Mussolini e il suo regime. E strizza l’occhio alle destre israeliane che con i nuovi postfascismi ci si trovano benissimo da molti anni. Scurati ha il merito di ricordare che il fascismo è stato criminale dall’inizio alla fine.

2) Qui la questione per me fondamentale, perché da questa dipende cosa dobbiamo fare. Scurati chiude dicendo che finché i postfascisti non si dichiarano antifascisti, il fantasma del fascismo non se ne va. Per affrontare questo tema dobbiamo metterci gli occhiali della storia contemporanea e levarci quelli della polemica politica quotidiana. Meloni e la sua banda hanno chiarito più volte che loro non si dichiarano antifascisti, prendono le distanze dal regime (e da tutti i regimi aggiungono, alludendo al comunismo) ma non si dicono antifascisti, perché per loro l’antifascismo è una caratterizzazione politica a sinistra e non solo una dichiarazione di democrazia. Avendo ribadito più volte questa cosa, la domanda è: ha ancora senso continuare a chieder loro ogni giorno questa professione di antifascismo?

Per rispondere dobbiamo capire due cose, di cui la seconda è fondamentale. La prima è che FdI nasce rompendo con Fini proprio sulla questione antifascismo: Fini si era spinto troppo in là, Meloni e La Russa quadrano sull’identità post MSI, sull’antifascismo non possono convenire, possono spingersi al massimo sull’a/fascismo. Loro esistono per questo e su questo. Chiedergli di togliere la fiamma dal simbolo e di dirsi antifascisti equivale a chiedergli di sciogliersi e di ritornare ad AN. Il che è esattamente come chiedere a Rifondazione Comunista di sciogliersi ed entrare nel PD.

Ma la seconda questione è fondamentale: dobbiamo prendere atto (purtroppo) che dopo l’89 cambiano le costituzioni materiali europee, antifasciste e socialdemocratiche. Quei paradigmi costituzionali che si trasformano in realtà sociali e politiche crollano insieme al muro di Berlino.

La costituzione materiale reale europea è ora quella dell’equiparazione tra nazi-fascismo e comunismo (sottoscritta da tutti in una dichiarazione UE) e in una generica condanna dei “totalitarismi”, oltre che in un prevalere del mercato sulla società. Crollato il muro, non importa più che l’URSS facesse parte della coalizione con gli angloamericani, non conta più che le resistenze italiane, francesi, greche, jugoslave fossero a maggioranza comunista, di comunisti che lottavano per la libertà e la democrazia. Crollato il muro questo non conta più. Dopo il 45 l’Europa si è costituita politicamente sull’antifascismo, dopo l’89 sull’anticomunismo parificato all’antifascismo, in un generico antitotalitarismo. Le guerre ridisegnano sempre gli scenari, la guerra fredda non fa eccezione (questo è alla base della guerra in Ucraina).
Così dal 45 all’89 il MSI è sempre dovuto stare al di fuori dell’arco costituzionale e dopo l’89 (cambiando nome) no, e oggi quel neo/post-msi che è FdI governa, e non deve dirsi antifascista. Basta che si dica contro tutti i regimi.

È caduto il tabù storico del nazifascismo come male assoluto. Ora il nazi-fascismo è un male relativo. Giorgia Meloni può dire che condanna il fascismo esattamente come condanna il comunismo.
Poco importa, anzi non importa proprio niente, che nel nostro paese il fascismo abbia tolto la libertà e il comunismo l’abbia riportata. Dopo l’89 questa non è più verità storica. Non importa che in tutto il mondo il comunismo, proprio come il cristianesimo e l’illuminismo, abbia portato orrori e meravigliose liberazioni mentre il nazi-fascismo solo orrori. Dopo l’89 non conta. Nessuno ricorderà più quella elementare verità detta da Vittorio Foa al missino Pisanò al Senato: “quando avevate vinto voi io ero andato in galera, poi abbiamo vinto noi e tu sei andato in Senato, la differenza è tutta qua”. Tutto questo non conterà più.

Dobbiamo renderci conto di questo dato di fatto, rafforzato dalla nuova guerra fredda per la quale agli angloamericani sono essenziali Polacchi e Baltici, certamente più anticomunisti che antifascisti, come la banda Meloni. Voglio dire che Meloni sta perfettamente nello spirito dei tempi. Dopo l’89 la costituzione reale europea è cambiata e pian piano sono cambiate quelle formali nei vari Paesi. Meloni al governo e riforma istituzionale Meloni sono gli ultimi due passi di un processo neocostituente che parte dall’89 e passa per una guerra fatta dall’ex comunista D’Alema all’ex comunista Milosevic, per lo smantellamento dell’economia mista, per i tantissimi governi tecnici, per lo sdoganamento di postmissini e leghisti in una cornice di atlantismo piduista fatto da Berlusconi, per la cessione di sovranità da istituzioni democratiche nazionali a istituzioni sovranazionali non sottoposte a controllo popolare. Il passaggio di Meloni è solo l’ultimo e definitivo passo di questo processo storico iniziato nell’89.

Per questo trovo che abbia poco senso chiedere ogni giorno questa professione di antifascismo. Meloni non la farà e sarà nel pieno della legittimazione (di questo nuovo quadro che descrivo) a non farla. Basta la dichiarazione di un generico antitotalitarismo e il bacetto in fronte di Biden è garantito.

Prendere atto di questa situazione serve per riprogrammare tutta un’altra politica di opposizione/ricostruzione che parta dallo stato reale presente e non stia con la testa rivolta a un passato che è ormai passato. Era un passato migliore, questo presente ha fatto enormi passi indietro rispetto a quel passato. Ma dobbiamo saperlo per sapere cosa fare oggi e domani.
Magari dovremmo discutere di questo in prossimità di un 25 aprile che si annuncia disastroso sotto tutto i punti di vista.


A seguire, il testo di Antonio Scurati.

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.

Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.

In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.

Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?

Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.

Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).

Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.

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