I Firmatari dell’appello chiedono con forza che il Governo Italiano risponda positivamente alla richiesta d’incontro da parte dei Sindaci della Valsusa affinchè si possa svolgere un confronto democratico con i territori direttamente interessati dall’opera.
Richiedono inoltre al Governo dei tecnici che si apra un confronto tecnico sul merito dell’opera.
Primi firmatari:
1) don Luigi Ciotti (presidente Gruppo Abele e Libera)
2) Livio Pepino (giurista, già componente Consiglio superiore magistratura)
3) Michele Curto (capogruppo Sinistra, ecologia e libertà, Comune Torino)
4) Ugo Mattei (professore diritto civile, Università Torino)
5) Marco Revelli (professore Scienza Amministrazione, Università del Piemonte orientale)
6) Giorgio Airaudo (responsabile nazionale auto Fiom)
7) Nichi Vendola (presidente Sinistra Ecologia Libertà)
8 ) Monica Frassoni (presidente Verdi europei)
9) Michele Emiliano (sindaco di Bari)
10) Luigi De Magistris (sindaco di Napoli)
11) Tommaso Sodano (vicesindaco di Napoli)
12) Paolo Beni (presidente nazionale Arci)
13) Vittorio Cogliati Dezza (presidente nazionale Legambiente)
14) Filippo Miraglia (Arci)
15) Gabriella Stramaccioni (direttrice Libera)
16) don Armando Zappolin (presidente nazionale Cnca)
17) don Tonio dell’Olio (Libera international)
18) Giovanni Palombarini (giurista, già Procuratore aggiunto Cassazione)
19) don Marcello Cozzi (Libera)
20) Sandro Mezzadra (professore Storia dell dottrine politiche, Università Bologna)
Di seguito il testo integrale dell’appello.
Dopo mesi in cui la politica ha omesso il confronto e il dialogo necessari con la popolazione della valle, la situazione di tensione in Val Susa ha raggiunto il livello di guardia, con una contrapposizione che sta provocando danni incalcolabili nel fisico delle persone, nella coesione sociale, nella fiducia verso le istituzioni, nella vita e nella economia dell’intera valle. Ad esserne coinvolti sono, in diversa misura, tutti coloro che stanno sul territorio: manifestanti e attivisti, forze dell’ordine, popolazione.
I problemi posti dal progetto di costruzione della linea ferroviaria ad alta capacità Torino-Lione non si risolvono con lanci di pietre e con comportamenti violenti. Da queste forme di violenza occorre prendere le distanze senza ambiguità. Ma non ci si può fermare qui. Non basta deprecare la violenza se non si fa nulla per evitarla o, addirittura, si eccitano gli animi con comportamenti irresponsabili (come gli insulti rivolti a chi compie gesti dimostrativi non violenti) o riducendo la protesta della valle – di tante donne e tanti uomini, giovani e vecchi del tutto estranei ad ogni forma di violenza – a questione di ordine pubblico da delegare alle forze dell’ordine.
La contrapposizione e il conflitto possono essere superati solo da una politica intelligente, lungimirante e coraggiosa. La costruzione della linea ferroviaria (e delle opere ad essa funzionali) è una questione non solo locale e riguarda il nostro modello di sviluppo e la partecipazione democratica ai processi decisionali. Per questo è necessario riaprire quel dialogo che gli amministratori locali continuano vanamente a chiedere. Oggi è ancora possibile. Domani forse no.
Per questo rivolgiamo un invito pressante alla politica e alle autorità di governo ad avere responsabilità e coraggio. Si cominci col ricevere gli amministratori locali e con l’ascoltare le loro ragioni senza riserve mentali. Il dialogo non può essere semplice apparenza e non può trincerarsi dietro decisioni indiscutibili ché, altrimenti, non è dialogo. La decisione di costruire la linea ad alta capacità è stata presa oltre vent’anni fa. In questo periodo tutto è cambiato: sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo. I lavori per il tunnel preparatorio non sono ancora iniziati, come dice la stessa società costruttrice. E non è vero che a livello sovranazionale è già tutto deciso e che l’opera è ormai inevitabile. L’Unione europea ha riaperto la questione dei fondi, dei progetti e delle priorità rispetto alle Reti transeuropee ed è impegnata in un processo legislativo che finirà solo fra un anno e mezzo. Lo stesso Accordo intergovernativo fra la Francia e l’Italia sarà ratificato solo quando sarà conosciuto l’intervento finanziario della UE, quindi fra parecchi mesi. E anche i lavori sulla tratta francese non sono iniziati né prossimi.
Dunque aprire un tavolo di confronto reale su opportunità, praticabilità e costi dell’opera e sulle eventuali alternative non provocherebbe alcun ritardo né alcuna marcia indietro pregiudiziale. Sarebbe, al contrario, un atto di responsabilità e di intelligenza politica. Un tavolo pubblico, con la partecipazione di esperti nazionali e internazionali, da convocare nello spazio di un mese, è nell’interesse di tutti. Perché tutti abbiamo bisogno di capire per decidere di conseguenza, confermando o modificando la scelta effettuata in condizioni del tutto diverse da quelle attuali.
Un Governo di “tecnici” non può avere paura dello studio, dell’approfondimento, della scienza. Numerose scelte precedenti sono state accantonate (da quelle relative al ponte sullo stretto a quelle concernenti la candidatura per le Olimpiadi). Noi oggi chiediamo molto meno. Chiediamo di approfondire i problemi ascoltando i molti “tecnici” che da tempo stanno studiando il problema,, di non deludere tanta parte del Paese, di dimostrare con i fatti che l’interesse pubblico viene prima di quello dei poteri forti. Lo chiediamo con forza e con urgenza, prima che la situazione precipiti ulteriormente.