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La spugna

Elastica modernità

martedì 26 marzo 2013, di Gommone


Avevo voglia e fretta di andare in spiaggia ma avendo piovuto volevo acquistare una spugna per svuotare la mia barca. Non conoscevo ancora bene i negozi di Ostia; guardandomi intorno mentre procedevo verso il lungomare finalmente vidi una vetrina di articoli casalinghi.


Entro. Sul banco della cassa 3 giovani cinesi mangiano pizza e mi rivolgono uno sguardo distratto. Cerco tra gli scaffali e trovo finalmente una spugna, un po’ troppo piccola per quel che serve a me ma non ne vedo altre.

Più tardi sono alla barca e come immaginavo c’è acqua sul fondo che non esce dagli svuotatoi. Soddisfatto passo la spugna, la strizzo fuori per rilasciare la poca acqua raccolta e sto per ripensare alla dimensione troppo ridotta ma il flusso della discussione che sto facendo con me stesso viene interrotta dallo stupore: la spugna una volta strizzata rimane contorta e spiegazzata nella mia mano senza accennare il minimo tentativo di riconquistare la forma primitiva.

Ma come è possibile? Come sono riusciti a produrre una spugna che al primo uso perde la possibilità di assolvere allo scopo per la quale è stata pensata, fabbricata, trasportata fin qui e acquistata? Mistero, per me.

Poi ripenso al negozio cinese, ai tre giovani intenti a mangiare pizza sul banco della cassa. Immagino che un negoziante europeo avrebbe scelto un retrobottega o un posto più riservato per mangiare. Il comportamento di quei cinesi sembra invece richiamare qualcosa di diverso nel rapporto con il cliente, come se cura e conservazione della clientela avessero perso di importanza; e probabilmente la scelta della merce da esporre e vendere è strettamente conseguente a quel diverso atteggiamento.

Nella foto, la spugna qualche giorno dopo l’acquisto.

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